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Giulan, paesaggio e cultura
Intervista con Anita Vittur, stilista, sarta di abiti tradizionali, maestra di sci e spirito libero
La creatività di Anita Vittur incarna perfettamente la versatilità dell’Alta Badia. È stilista e sarta di costumi tradizionali, ma anche maestra di sci e, soprattutto, un’anima libera: creativa e precisa, curiosa e poliedrica, legata alla natura e al tempo stesso sperimentale e artistica. La sua passione per l’arte, i materiali, i tessuti e i colori, nata già in giovane età, si è affinata negli studi e nella pratica, consolidando un innato senso del design e dello stile. Da dieci anni Anita Vittur porta avanti una propria linea di moda e realizza costumi tradizionali. Con LÜM, ha persino racchiuso in un profumo l’essenza stessa delle Dolomiti. E poiché ama l’attività fisica tanto quanto la creatività, insegna anche sci.
È cresciuta, come lei stessa racconta, “nel cuore delle Dolomiti”. I colori, i suoni e i profumi di questa natura forte e autentica hanno segnato per sempre il suo legame con il territorio: “Credo sia nostra missione proteggere la montagna e insegnare agli altri il rispetto per la natura”.
Oggi vive a San Cassiano con il marito Davide e le loro due figlie, Maya e Denise. Con il marito condivide un profondo amore per la libertà. Dalle sue parole emerge la passione per la cultura e la natura dell’Alta Badia, ma anche l’entusiasmo per il lavoro artigianale e per la creatività, in tutte le sue forme.
Anita, raccontaci un po’ di te: chi è Anita Vittur?
Sono nata a San Cassiano e cresciuta nel cuore delle Dolomiti. Forse è già al liceo artistico di Cortina che è sbocciata la mia passione per l’arte. Sono sempre stata una persona curiosa, attratta da tante cose diverse, ma i tessuti mi hanno affascinata in modo particolare: toccarli, lavorare con i colori, esprimermi attraverso le mani...
Oltre all’arte, la natura ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione. Fin da bambina trascorrevo molto tempo all’aria aperta, quasi ogni fine settimana ero in montagna con la mia famiglia. Quel legame è ancora oggi una parte essenziale di me. Chi cresce qui deve sentire questo amore profondo per la natura, altrimenti vivere nelle Dolomiti diventa difficile. Siamo circondati da montagne immense e da una natura dalla forza incredibile: bisogna imparare a sentirsi parte di essa, a trovarci il proprio posto.
Cosa ti fa battere il cuore? Cosa ti ha più influenzata?
Per me la libertà è tutto. Da bambina odiavo seguire in fila il maestro di sci: non ho mai sopportato fare ciò che altri mi imponevano. Così da adolescente, insieme ad altri ragazzi, ho scoperto lo snowboard. Mi dava una sensazione di pura gioia e libertà, una sensazione che mi accompagna tuttora, nella vita e nel lavoro. Durante i miei quattro anni di studi a Verona, nei fine settimana d’inverno tornavo a casa per partecipare alle gare di snowboard. Quella sensazione di libertà è quel che cerco di trasmettere anche oggi, come maestra di sci.
Come sei arrivata al mondo della moda?
Molto lo devo alla mia straordinaria insegnante Meme Kostner, che ci trasmetteva l’amore per l’arte, per l’equilibrio tra natura e bellezza, tra colori e tessuti. Ricordo un progetto con una scuola d’arte di Riccione: noi abbiamo realizzato i tessuti con varie tecniche, io ho dipinto sulla seta, altri hanno tessuto o stampato e gli studenti dell’altra scuola hanno invece creato una collezione con quei materiali, presentata poi in una sfilata. È lì che ho capito che quella era la mia strada. Dopo il diploma ho studiato sartoria e design della moda a Verona, dove ho imparato sia le tecniche sartoriali classiche sia quelle della produzione industriale. Ancora oggi attingo a entrambe, a seconda delle necessità.
Cosa provi quando tocchi un tessuto?
Credo che non ci rendiamo conto di quanto le diverse texture influenzino il nostro stato d’animo. Se un tessuto aderisce alla pelle in modo fastidioso, anche l’umore ne risentirà. Durante gli studi abbiamo lavorato molto su questo: tessevamo noi stessi i materiali, percependone la consistenza, a volte ruvida, ma sempre naturale. La seta, invece, è morbida e scivolata, completamente diversa.
Se i materiali non sono ben combinati, un abito può trasmettere una sensazione di disarmonia. Chi ha un forte senso estetico, come me, ricerca continuamente equilibrio e perfezione, anche inconsciamente. Io devo sempre toccare i tessuti: è un gesto istintivo.
Come ti sei avvicinata alla sartoria tradizionale?
Direi che sono stati i Trachten, gli abiti tradizionali, a trovare me. Ero quasi alla fine degli studi quando la banda musicale di Colfosco/Corvara mi chiese di realizzare le loro divise. Poco dopo, nel 1999, ho aperto il mio atelier e da lì la sartoria tradizionale è stata una naturale conseguenza. Mi sono documentata, ho seguito corsi di approfondimento e imparato molto dalle sarte più anziane. Sono entrata in contatto anche con l’associazione “Lebendige Tracht” di Bolzano, per assicurarmi di rispettare le regole e la tradizione.
Il Tracht è molto più di un abito: è cultura, storia e identità. Ogni valle ha la propria. I materiali usati lino, lana o cotone blu o rosso, e i colori ispirati alla natura raccontano il territorio. Col tempo il costume è diventato sempre più raffinato, fino a diventare l’abito da festa che conosciamo oggi.
Quello della Val Badia è più semplice rispetto a quello di Castelrotto o della Val Gardena, ma ha la sua eleganza. Ho realizzato costumi per bande musicali di La Villa, San Vigilio, Corvara, Welschellen e Castelrotto, e vestito molte persone con i miei Trachten. Anche i giovani oggi lo indossano volentieri, perché fanno stare bene.
Quanto tempo serve per realizzare un abito femminile completo?
Per un Tracht da donna, con blusa e giacca, servono tra le 60 e le 70 ore di lavoro, tutto è realizzato a mano. Servono tecnica, esperienza e molta pazienza. E non è solo opera della sarta: nella creazione intervengono tanti artigiani: chi tesse il lino, chi realizza pizzi all’uncinetto o al tombolo, chi forgia i ganci del corpetto, chi cuce le scarpe o crea il cappello. Ognuno contribuisce con la propria arte, rendendo l’abito vivo.
In che modo il Tracht influenza i tuoi modelli?
Lavoro quasi esclusivamente con fibre naturali, proprio come per il Tracht. Mi piacciono i contrasti: lino, lana, seta, dettagli in argento o oro. La cura minuziosa dei dettagli si riflette anche nei miei capi: tutto deve seguire un filo logico e armonico. L’amore per la tradizione emerge, ad esempio, nelle gonne: la gonna Gana può essere portata in modo sportivo con le sneakers o più elegante con un grembiule, richiamando un Dirndl semplice ma raffinato.
I nomi dei miei capi sono sempre legati alla cultura ladina: Gana rimanda alle “Ganes”, le fate buone del bosco, e al loro danzare libero nella natura un simbolo di quella libertà che tanto amo. Una giacca si chiama Giulan, che significa “grazie”, ed esprime gratitudine verso la vita, la natura e il paesaggio.
Indosso volentieri le mie creazioni: sono allergica a tutto ciò che non è fibra naturale. Dieci anni fa sognavo un guardaroba composto solo dai miei abiti, e oggi quel sogno si è avverato. Mi fa sentire bene. Mi fa sentire libera.
Un ultimo consiglio: cosa non bisogna assolutamente perdersi in Alta Badia?
Senza dubbio l’Inrosadöra, l’enrosadira delle Dolomiti: ammirarla all’alba o al tramonto, respirando quell’energia e quei colori unici, è un’esperienza indimenticabile. E chi ama la cultura e la tradizione non dovrebbe perdersi una sfilata di costumi tradizionali: guardare da vicino i dettagli, i ricami, i tessuti è qualcosa di magico. E per concludere, un bicchiere di Gewürztraminer è sempre un’ottima idea.
Kunigunde Weissenegger, laureata in traduzione e interpretariato a Innsbruck, Granada e Roma, con una formazione umanistica e una specializzazione in giornalismo, è traduttrice, scrittrice, giornalista, esperta di comunicazione e cofondatrice dell’agenzia di comunicazione e della casa editrice franzLAB, nonché caporedattrice di franzmagazine.com, una rivista dedicata alla cultura contemporanea nell’area alpina.