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Il vino è una montagna

Sommelier in pista, quando il paesaggio esalta ogni degustazione

Pubblicato il 25.11.2025

Londra, maggio 2014. Tremila persone vengono fatte accomodare in una grande sala asettica. A ciascuna di loro è consegnato un calice contenente lo stesso vino rosso. Le pareti sono completamente bianche, non ci sono finestre. A un certo punto, il colore dell’illuminazione e la musica di sottofondo cominciano a mutare. La luce passa da bianca a verde e da verde a rossa e, simultaneamente, brani acidi e sincopati si alternano a melodie armoniche e dolci. A ogni variazione il vino sembra trasformarsi. Sotto la luce verde e con la colonna sonora aspra, i partecipanti lo percepiscono come più fresco, più sottile e meno intenso. Con la luce rossa e una musica dolce diventa fruttato, caldo, più strutturato e appagante. Cosa sta succedendo? Non si tratta di magia, ma di scienza. Questo curioso esperimento, presentato al pubblico con il nome The Colour Lab, è stato infatti il primo studio su larga scala a dimostrare concretamente quanto l’ambiente che ci circonda possa influenzare la percezione di ciò che mangiamo e beviamo. Oggi è la gastrofisica – disciplina resa popolare dal neuroscienziato e psicologo Charles Spence dell’Università di Oxford, ideatore di The Colour Lab – a indagare come l’esperienza enogastronomica non dipenda solo dal gusto in senso stretto, ma anche da una complessa e invisibile interazione con stimoli multisensoriali esterni.

Ma se tutto questo è stato osservato in un anonimo stanzone britannico, con luci fredde e suoni artificiali, di che cosa saprebbe un vino assaggiato a oltre duemila metri, circondati da vette imbiancate e boschi fitti, mentre si respira aria buona e si calpesta la neve? In questo caso, però, non si tratta di un esperimento, ma di Sommelier in pista: l’iniziativa che, da quasi dieci anni, porta turisti e appassionati a scoprire i migliori vini altoatesini in Alta Badia. Decontestualizzato da cantine e rumorosi tavoli di ristorante, il vino può contare qui su un ambiente che amplifica i sensi e favorisce la contemplazione.

L’esperienza inizia con un breve viaggio in ovovia, che permette di raggiungere il punto di incontro e, allo stesso tempo, di lasciare a valle la quotidianità urbana. Un piccolo rito di passaggio, che aiuta a cambiare ritmo e prospettiva. In cima, ad attendere i partecipanti, ci sono un sommelier e un istruttore di sci. I gruppi sono volutamente piccoli - massimo quattordici persone - così da creare un’atmosfera intima e garantire un percorso davvero sartoriale. Sci ai piedi, si parte! Dopo circa venti minuti si raggiunge il primo rifugio e arrivano i primi due calici in assaggio, che sono accompagnati da piccole preparazioni gastronomiche e da una narrazione coinvolgente. L’iniziativa, infatti, è organizzata in collaborazione con il Consorzio Vini Alto Adige e l’Associazione Italiana Sommelier dell’Alto Adige, che curano con attenzione la selezione delle etichette e mettono a disposizione le loro squadre di professionisti. A sovrintendere la formazione dei sommelier e la scelta dei vini – entrambe impeccabili – c’è André Senoner, direttore del Gruppo di Servizio dell’associazione. L’obiettivo è valorizzare e far conoscere la qualità e l’eterogeneità del vino locale. Ecco perché i tasting cambiano di volta in volta, offrendo punti di osservazione originali e differenti. In poco più di 5.000 ettari vitati, infatti, l’Alto Adige passa da assolati vigneti a 200 metri sul livello del mare, circondati da ulivi e cipressi, a scenari alpini, dove la viticoltura si fa eroica e i ripidi appezzamenti raggiungono altitudini superiori ai 1.000 metri. Un mosaico di suoli, microclimi, tradizioni e vocazioni, che consente di coltivare più di venti varietà. Il risultato sono vini espressivi ed evocativi, che portano con sé la matrice dell’unicità. Sommelier in pista restituisce appieno questa ricchezza e la declina in percorsi tematici: focus sui bianchi o sui rossi, approfondimenti sugli spumanti Metodo Classico o, ancora, sulle produzioni biologiche e biodinamiche e sulle espressioni più verticali e montane di questo prodotto. Le combinazioni sono potenzialmente infinite, e gli assaggi spaziano dalle varietà autoctone – come Gewürztraminer, Schiava e Lagrein – a quelle internazionali quali, per citarne solo alcune, Pinot nero, Pinot bianco, Sauvignon e Riesling.

Nel frattempo, mentre i sapori e le percezioni si sedimentano, si scivola verso la seconda baita e una nuova batteria di vini. Anche i rifugi che ospitano l’iniziativa cambiano a ogni appuntamento: sono scelti fra quelli più iconici e caratteristici dell’Alta Badia che, già paradiso degli sciatori, da qualche anno è diventata anche un’indiscutibile mecca enogastronomica. Nelle quasi due ore e mezza di avventura, il sommelier guida i partecipanti attraverso una degustazione tecnica e offre suggerimenti pratici e strumenti preziosi per comprendere e apprezzare ciò che si ha nel bicchiere. Una vera e propria lezione, che tornerà utile anche a valle. A ogni sorso si incontrano la cultura vitivinicola altoatesina, le storie delle cantine, i diversi territori di coltivazione e le sensibilità dei loro interpreti. Ma c’è di più: il vino richiede osservazione. Che cosa emerge dal naso? E dal palato? Com’è il movimento del liquido nelle nostre bocche? Cosa resta dopo aver deglutito? In questo spazio sospeso, si attiva un ascolto inedito delle nostre sensazioni, così spesso trascurate e silenziate. Il corpo diventa ricettivo, presente. Intanto, il paesaggio delle Dolomiti, unico nell’essere insieme maestoso e minimalista, fa il suo: riporta all’essenzialità, dilata i sensi e il tempo, ci riconnette con una forma creativa e istintiva di conoscenza.

Così Sommelier in pista ci rivela che montagna e vino hanno molto in comune: sono entrambi “luoghi” vivi e mutevoli, che predispongono alla meditazione e all’esplorazione. Un’esplorazione che non è mai solo geografica, ma anche emotiva. Sono due energie che qui si incontrano e si alimentano a vicenda. Insomma, una sorta di gioco gastrofisico degli specchi, dove l’ambiente amplifica e condiziona la percezione del vino e viceversa.

E allora, di che cosa sa un vino assaggiato a oltre duemila metri, circondati da vette imbiancate e boschi fitti, mentre si respira aria buona e si calpesta la neve? La bellezza sta proprio nello scoprirlo, ogni volta da capo.

Metà altoatesina e metà siciliana, dopo la laurea in Giurisprudenza e il diploma di Sommelier, Federica Randazzo ha iniziato a lavorare nel settore vitivinicolo. Oggi è vice curatrice della guida Slow Wine, scrive di vino e conduce degustazioni e corsi. Si occupa di comunicazione e selezione, gestisce progetti ed eventi nel settore vitivinicolo.

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